ETTY HILLESUM
Lo scandalo ("follia") della bontà!
Una giovane donna che continua a far interrogare di sé l'ortodossia religiosa, e a sfuggire ad ogni "inquadramento" definitivo, su come un cuore possa essersi cosí "dilatato" nell'amore verso il prossimo.
Nasce in Olanda, da una ricca famiglia ebrea non praticante.
Deportata ad Auschwitz nel 1943, per sua stessa scelta, rinunciando a fuggire, rifiutando ogni tentativo di aiuto, per farla desistere dal suo intento.
Muore ad Auschwitz due mesi dopo, il 30 novembre 1943.
Muore che non ha ancora trent’anni.
È lei stessa a chiedere di andare al campo per occuparsi dei malati nelle baracche:
“Mi sento in grado di sopportare il pezzo di storia che stiamo vivendo”.
Vuole condividere il destino della sua gente, esserne al servizio.
Soltanto negli anni Ottanta si è iniziato a pubblicare gli scritti, considerati a lungo troppo filosofico-"eretici", della giovane donna olandese:
il "Diario" é una raccolta di lettere che scrive a familiari e amici.
Lo "scandalo della bontà", poiché la mancanza di odio per il nemico non corrisponde alla mancanza di totale indignazione e consapevolezza del tragico momento storico e dell'orrore delle deportazioni.
Non è "delirante" rispetto alla realtà!
“La mia penna stilografica non possiede accenti così efficaci da saper descrivere, sia pur nel modo più approssimativo, queste deportazioni. Ma se poi si va fra la gente, ci si rende conto che là dove ci sono uomini c’è anche vita”.
“Eccomi dunque nell’inferno.”
E tuttavia proprio in questo inferno scrive pagine visionarie nell’ostinazione con cui celebrano la vita:
“Le materie prime di cui è fatta la vita sono dappertutto le stesse”, “qui di amore non ce n’è molto eppure mi sento indicibilmente ricca, non saprei spiegarlo a nessuno”.
"So che chi odia ha fondati motivi per farlo. Ma perché dovremmo scegliere la strada più corta e a buon mercato? Ho potuto toccare con mano come ogni atomo di odio che si aggiunge al mondo lo renda ancora più inospitale.”
Il diario registra gli inciampi: più volte Etty racconta di dover ricominciare tutto daccapo, racconta come sia faticoso il percorso.
"Si deve lavorare alla propria pace interiore, costringersi a inginocchiarsi nell’angolo più remoto e tranquillo dell’essere fino a che sopra di noi non si stenda un purissimo quadrato di cielo. Acquietare l’ansia di sapere... ".
È una forma di resistenza, quella a cui cerca di educarsi, una forza del patire: "... è necessario ospitare il luogo delle contraddizioni, risiedervi senza sfuggirlo".
Non bisogna confondere la sua "via d’uscita" con un generico altruismo, ma piuttosto vederla come un lavoro capace di portare ad educarsi all’irrealizzato, alla vergogna, al tradimento dell’ideale di sé troppo immaginato.
Si tratta di non ignorare i duri fatti ma di trasformarli in qualcosa di vitale:
“Se non sapremo offrire al mondo impoverito del dopoguerra nient’altro che i nostri corpi salvati a ogni costo e non un nuovo senso delle cose allora non basterà”.
“Chi ha perduto la speranza di esser felice, non può pensare alla felicità degli altri e non può neppure interessarsi dell’altrui infelicità.”
Era convinta che "un cuore pensante" dovesse sopravvivere al disastro, a qualunque costo.
"Mi si dice: una persona come te ha il dovere di mettersi in salvo, hai tanto da fare nella vita, hai ancora tanto da dare. Ma quel poco o molto che ho da dare lo posso dare comunque, che sia qui o in una piccola cerchia di amici, o altrove, in un campo di concentramento. E mi sembra una curiosa sopravvalutazione di se stessi, quella di ritenersi troppo preziosi per condividere con gli altri un “destino di massa”".
Riuscì a mantenere lontano ogni sentimento di odio nei confronti dei carnefici:
"Se un uomo delle SS dovesse prendermi a calci fino alla morte, io alzerei ancora gli occhi per guardarlo in viso, e mi chiederei, con un’espressione di sbalordimento misto a paura, e per puro interesse nei confronti dell’umanità: mio Dio, ragazzo, che cosa mai ti è capitato nella vita di tanto terribile da spingerti a simili azioni?".
Etty pensava che sarebbe bastato un solo tedesco “buono”, e quest’unico tedesco avrebbe meritato di essere difeso, perché grazie a lui non si avrebbe più avuto il diritto di riversare l’odio su un popolo intero".
"Non mi sottrarrò a nessuna delle cose che mi verranno addosso in questa vita, cercherò di accettare tutto e nel modo migliore. Il calore e la sicurezza mi piacciono, ma non mi ribellerò se mi toccherà stare al freddo, e cercherò di non avere paura. E dovunque mi troverò, io cercherò di irraggiare un po’ di quell’amore, di quel vero amore per gli uomini che mi porto dentro".
"Dobbiamo abbandonare le nostre preoccupazioni per pensare agli altri, che amiamo. Voglio dir questo: si deve tenere a disposizione di chiunque si incontri per caso sul nostro sentiero, e che ne abbia bisogno, tutta la forza e l’amore e la fiducia in Dio che abbiamo in noi stessi e che ultimamente stanno crescendo meravigliosamente in me. O l’uno o l’altro: o si pensa solo a se stessi e alla propria conservazione, senza riguardi, o si prendono le distanze da tutti i desideri personali e ci si arrende. Per me, questa resa non si fonda sulla rassegnazione che è un morire, ma si indirizza là dove Dio per avventura mi manda ad aiutare come posso".
Era chiara in lei la consapevolezza del destino che attendeva il suo popolo:
"Bene, io accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento. Non darò più fastidio con le mie paure, non sarò amareggiata se altri non capiranno cos’è in gioco per noi ebrei. Continuo a lavorare con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato".
"...sono pronta a tutto, a ogni situazione e nella morte a testimoniare che questa vita è bella".
Mostrando la convinzione che l’umanità formi una catena i cui anelli sono saldati gli uni agli altri, Etty pensava anche a quanti sarebbero venuti dopo di lei e scriveva:
"Ho il dovere di vivere nel modo migliore e con la massima convinzione, sino all’ultimo respiro: allora il mio successore non dovrà più ricominciare tutto da capo, e con tanta fatica".
Il radicato convincimento che l’uomo porta in sé l’immagine di Dio, apre la strada alla paradossale affermazione:
"Quando domani Dio non sarà più in grado di aiutare noi, saremo noi a dover aiutare Dio, conservandone le tracce nel cuore umano...una cosa diventa sempre più evidente in me, e cioè che Tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare Te, e in questo modo aiutiamo noi stessi".
L’amore verso Dio si traduce così nel donarsi agli altri:
"Partirò dal principio di aiutare Dio il più possibile, e se questo mi riuscirà, allora vuol dire che saprò esserci anche per gli altri".
Sorretta dalla sua incrollabile fede nella vita, Etty ne sa cogliere la bellezza oltre il “qui e ora”:
"Vivere è un bene ovunque, anche dietro il filo spinato e dentro le baracche tutte spifferi, purché si viva con l’amore necessario nei confronti degli altri e della vita".
"Dobbiamo osare il gran salto, e allora si che la vita diventa infinitamente ricca anche nei suoi più profondi dolori".
Lo scandalo ("follia") della bontà!
Una giovane donna che continua a far interrogare di sé l'ortodossia religiosa, e a sfuggire ad ogni "inquadramento" definitivo, su come un cuore possa essersi cosí "dilatato" nell'amore verso il prossimo.
Nasce in Olanda, da una ricca famiglia ebrea non praticante.
Deportata ad Auschwitz nel 1943, per sua stessa scelta, rinunciando a fuggire, rifiutando ogni tentativo di aiuto, per farla desistere dal suo intento.
Muore ad Auschwitz due mesi dopo, il 30 novembre 1943.
Muore che non ha ancora trent’anni.
È lei stessa a chiedere di andare al campo per occuparsi dei malati nelle baracche:
“Mi sento in grado di sopportare il pezzo di storia che stiamo vivendo”.
Vuole condividere il destino della sua gente, esserne al servizio.
Soltanto negli anni Ottanta si è iniziato a pubblicare gli scritti, considerati a lungo troppo filosofico-"eretici", della giovane donna olandese:
il "Diario" é una raccolta di lettere che scrive a familiari e amici.
Lo "scandalo della bontà", poiché la mancanza di odio per il nemico non corrisponde alla mancanza di totale indignazione e consapevolezza del tragico momento storico e dell'orrore delle deportazioni.
Non è "delirante" rispetto alla realtà!
“La mia penna stilografica non possiede accenti così efficaci da saper descrivere, sia pur nel modo più approssimativo, queste deportazioni. Ma se poi si va fra la gente, ci si rende conto che là dove ci sono uomini c’è anche vita”.
“Eccomi dunque nell’inferno.”
E tuttavia proprio in questo inferno scrive pagine visionarie nell’ostinazione con cui celebrano la vita:
“Le materie prime di cui è fatta la vita sono dappertutto le stesse”, “qui di amore non ce n’è molto eppure mi sento indicibilmente ricca, non saprei spiegarlo a nessuno”.
"So che chi odia ha fondati motivi per farlo. Ma perché dovremmo scegliere la strada più corta e a buon mercato? Ho potuto toccare con mano come ogni atomo di odio che si aggiunge al mondo lo renda ancora più inospitale.”
Il diario registra gli inciampi: più volte Etty racconta di dover ricominciare tutto daccapo, racconta come sia faticoso il percorso.
"Si deve lavorare alla propria pace interiore, costringersi a inginocchiarsi nell’angolo più remoto e tranquillo dell’essere fino a che sopra di noi non si stenda un purissimo quadrato di cielo. Acquietare l’ansia di sapere... ".
È una forma di resistenza, quella a cui cerca di educarsi, una forza del patire: "... è necessario ospitare il luogo delle contraddizioni, risiedervi senza sfuggirlo".
Non bisogna confondere la sua "via d’uscita" con un generico altruismo, ma piuttosto vederla come un lavoro capace di portare ad educarsi all’irrealizzato, alla vergogna, al tradimento dell’ideale di sé troppo immaginato.
Si tratta di non ignorare i duri fatti ma di trasformarli in qualcosa di vitale:
“Se non sapremo offrire al mondo impoverito del dopoguerra nient’altro che i nostri corpi salvati a ogni costo e non un nuovo senso delle cose allora non basterà”.
“Chi ha perduto la speranza di esser felice, non può pensare alla felicità degli altri e non può neppure interessarsi dell’altrui infelicità.”
Era convinta che "un cuore pensante" dovesse sopravvivere al disastro, a qualunque costo.
"Mi si dice: una persona come te ha il dovere di mettersi in salvo, hai tanto da fare nella vita, hai ancora tanto da dare. Ma quel poco o molto che ho da dare lo posso dare comunque, che sia qui o in una piccola cerchia di amici, o altrove, in un campo di concentramento. E mi sembra una curiosa sopravvalutazione di se stessi, quella di ritenersi troppo preziosi per condividere con gli altri un “destino di massa”".
Riuscì a mantenere lontano ogni sentimento di odio nei confronti dei carnefici:
"Se un uomo delle SS dovesse prendermi a calci fino alla morte, io alzerei ancora gli occhi per guardarlo in viso, e mi chiederei, con un’espressione di sbalordimento misto a paura, e per puro interesse nei confronti dell’umanità: mio Dio, ragazzo, che cosa mai ti è capitato nella vita di tanto terribile da spingerti a simili azioni?".
Etty pensava che sarebbe bastato un solo tedesco “buono”, e quest’unico tedesco avrebbe meritato di essere difeso, perché grazie a lui non si avrebbe più avuto il diritto di riversare l’odio su un popolo intero".
"Non mi sottrarrò a nessuna delle cose che mi verranno addosso in questa vita, cercherò di accettare tutto e nel modo migliore. Il calore e la sicurezza mi piacciono, ma non mi ribellerò se mi toccherà stare al freddo, e cercherò di non avere paura. E dovunque mi troverò, io cercherò di irraggiare un po’ di quell’amore, di quel vero amore per gli uomini che mi porto dentro".
"Dobbiamo abbandonare le nostre preoccupazioni per pensare agli altri, che amiamo. Voglio dir questo: si deve tenere a disposizione di chiunque si incontri per caso sul nostro sentiero, e che ne abbia bisogno, tutta la forza e l’amore e la fiducia in Dio che abbiamo in noi stessi e che ultimamente stanno crescendo meravigliosamente in me. O l’uno o l’altro: o si pensa solo a se stessi e alla propria conservazione, senza riguardi, o si prendono le distanze da tutti i desideri personali e ci si arrende. Per me, questa resa non si fonda sulla rassegnazione che è un morire, ma si indirizza là dove Dio per avventura mi manda ad aiutare come posso".
Era chiara in lei la consapevolezza del destino che attendeva il suo popolo:
"Bene, io accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento. Non darò più fastidio con le mie paure, non sarò amareggiata se altri non capiranno cos’è in gioco per noi ebrei. Continuo a lavorare con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato".
"...sono pronta a tutto, a ogni situazione e nella morte a testimoniare che questa vita è bella".
Mostrando la convinzione che l’umanità formi una catena i cui anelli sono saldati gli uni agli altri, Etty pensava anche a quanti sarebbero venuti dopo di lei e scriveva:
"Ho il dovere di vivere nel modo migliore e con la massima convinzione, sino all’ultimo respiro: allora il mio successore non dovrà più ricominciare tutto da capo, e con tanta fatica".
Il radicato convincimento che l’uomo porta in sé l’immagine di Dio, apre la strada alla paradossale affermazione:
"Quando domani Dio non sarà più in grado di aiutare noi, saremo noi a dover aiutare Dio, conservandone le tracce nel cuore umano...una cosa diventa sempre più evidente in me, e cioè che Tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare Te, e in questo modo aiutiamo noi stessi".
L’amore verso Dio si traduce così nel donarsi agli altri:
"Partirò dal principio di aiutare Dio il più possibile, e se questo mi riuscirà, allora vuol dire che saprò esserci anche per gli altri".
Sorretta dalla sua incrollabile fede nella vita, Etty ne sa cogliere la bellezza oltre il “qui e ora”:
"Vivere è un bene ovunque, anche dietro il filo spinato e dentro le baracche tutte spifferi, purché si viva con l’amore necessario nei confronti degli altri e della vita".
"Dobbiamo osare il gran salto, e allora si che la vita diventa infinitamente ricca anche nei suoi più profondi dolori".