Il dolore può anche essere inevitabile, ma il fatto di soffrire o meno dipende da noi.
Soffrire è una scelta (frutto di automatismi), ma con la "pratica" si può riuscire a separare l'esperienza del dolore da quella della sofferenza.
Quando ci capita qualcosa di negativo, non soffriamo solo per l’esperienza dolorosa in sé, ma anche e soprattutto per il modo in cui reagiamo.
Ogni giorno, inevitabilmente, ci troviamo a vivere esperienze più o meno spiacevoli, che fanno parte della vita.
Alcuni giorni va tutto relativamente bene, e nulla di negativo (o di significativo) sembra colpirci, mentre in altri siamo costantemente bombardati da eventi spiacevoli, piccoli o grandi che siano.
Insomma: normalmente veniamo sottoposti, contro la nostra volontà, a numerosi stimoli che possono causarci sofferenza.
E già così la nostra vita appare sufficientemente dura.
Ma il punto è che, non facciamo neanche in tempo a renderci conto di essere stati colpiti, che, quasi istantaneamente, arriva subito una seconda ondata di sofferenza.
La seconda ondata è il flusso di pensieri ed emozioni negative su quanto orrenda sia la situazione nella quale siamo immersi.
Tendiamo a reagire in maniera spesso spropositatamente negativa.
Una serie di reazioni che si attivano automaticamente quando ci capita qualcosa di spiacevole.
E tutto ciò amplifica l'esperienza della sofferenza.
Perché è proprio questo flusso di pensieri, emozioni e sensazioni negative a potenziare ulteriormente la sofferenza dell’esperienza originale e a provocare, in ultima analisi, livelli di ansia e di stress ancora più elevati.
Cosa possiamo arrivare a dirci quando finisce una relazione (“Non me ne va mai bene una, resterò solo per tutta la vita”) o quando perdiamo il lavoro (“Sono rovinato, resterò per sempre disoccupato e finirò sotto i ponti”)...
Ma se la prima sofferenza deriva, diciamo così, “dalla vita”… la seconda dipende da noi!
È chiaro che non è un qualcosa che facciamo volontariamente, eppure le cose stanno così.
Non è colpa nostra: sono abitudini che abbiamo appreso, sviluppato e rinforzato per tutta la nostra vita, supportati dalla naturale tendenza dell’essere umano a “usare troppo il cervello”.
Non è colpa nostra, sì, ma resta comunque una nostra responsabilità non permettere di farci ferire ulteriormente.
Non è facile... proprio perché questa seconda sofferenza si attiva in maniera automatica, e non abbiamo quasi mai la prontezza di accorgerci di cosa ci sta accadendo in quel momento, osservarlo nella giusta prospettiva e rispondere nella maniera più adeguata.
È tutta una vita che ci portiamo dietro queste abitudini ad esagerare e ad aspettarci il peggio, a giudicare negativamente non soltanto quello che ci capita, ma spesso soprattutto noi stessi. Per questo non è facile.
Ma le abitudini si possono cambiare!
E il primo passo è proprio quello di rendersi conto di come le nostre tendenze a ingigantire, amplificare e dilatare la negatività di ciò che ci succede nella vita fanno sì che la nostra vita appaia ancora più difficile di quanto normalmente lo sia già.
E di come la sofferenza che proviamo sia maggiore di quella che potremmo realmente provare.
È possibile imparare a riconoscere i pensieri automatici (cioè, molto veloci ma non inconsci) che sono emersi col sorgere dell’esperienza.
Cosa ho pensato? Cosa mi è passato per la testa?
Poi, possiamo avviare una critica attiva su questi pensieri, adottando, dopo aver preso la giusta "distanza" dal vissuto emotivo, una prospettiva più ragionevole.
Più diventiamo bravi a mantenere la calma e a non lasciarci catturare dalla corrente dei pensieri negativi quando ci capita qualcosa di “piccolo”, più sarà facile affrontare anche le situazioni più “grandi”.
Il messaggio di fondo, comunque, è una grande verità che purtroppo non è così facile comprendere ed accettare:
“Il dolore è inevitabile, la sofferenza no”.
Soffrire è una scelta (frutto di automatismi), ma con la "pratica" si può riuscire a separare l'esperienza del dolore da quella della sofferenza.
Quando ci capita qualcosa di negativo, non soffriamo solo per l’esperienza dolorosa in sé, ma anche e soprattutto per il modo in cui reagiamo.
Ogni giorno, inevitabilmente, ci troviamo a vivere esperienze più o meno spiacevoli, che fanno parte della vita.
Alcuni giorni va tutto relativamente bene, e nulla di negativo (o di significativo) sembra colpirci, mentre in altri siamo costantemente bombardati da eventi spiacevoli, piccoli o grandi che siano.
Insomma: normalmente veniamo sottoposti, contro la nostra volontà, a numerosi stimoli che possono causarci sofferenza.
E già così la nostra vita appare sufficientemente dura.
Ma il punto è che, non facciamo neanche in tempo a renderci conto di essere stati colpiti, che, quasi istantaneamente, arriva subito una seconda ondata di sofferenza.
La seconda ondata è il flusso di pensieri ed emozioni negative su quanto orrenda sia la situazione nella quale siamo immersi.
Tendiamo a reagire in maniera spesso spropositatamente negativa.
Una serie di reazioni che si attivano automaticamente quando ci capita qualcosa di spiacevole.
E tutto ciò amplifica l'esperienza della sofferenza.
Perché è proprio questo flusso di pensieri, emozioni e sensazioni negative a potenziare ulteriormente la sofferenza dell’esperienza originale e a provocare, in ultima analisi, livelli di ansia e di stress ancora più elevati.
Cosa possiamo arrivare a dirci quando finisce una relazione (“Non me ne va mai bene una, resterò solo per tutta la vita”) o quando perdiamo il lavoro (“Sono rovinato, resterò per sempre disoccupato e finirò sotto i ponti”)...
Ma se la prima sofferenza deriva, diciamo così, “dalla vita”… la seconda dipende da noi!
È chiaro che non è un qualcosa che facciamo volontariamente, eppure le cose stanno così.
Non è colpa nostra: sono abitudini che abbiamo appreso, sviluppato e rinforzato per tutta la nostra vita, supportati dalla naturale tendenza dell’essere umano a “usare troppo il cervello”.
Non è colpa nostra, sì, ma resta comunque una nostra responsabilità non permettere di farci ferire ulteriormente.
Non è facile... proprio perché questa seconda sofferenza si attiva in maniera automatica, e non abbiamo quasi mai la prontezza di accorgerci di cosa ci sta accadendo in quel momento, osservarlo nella giusta prospettiva e rispondere nella maniera più adeguata.
È tutta una vita che ci portiamo dietro queste abitudini ad esagerare e ad aspettarci il peggio, a giudicare negativamente non soltanto quello che ci capita, ma spesso soprattutto noi stessi. Per questo non è facile.
Ma le abitudini si possono cambiare!
E il primo passo è proprio quello di rendersi conto di come le nostre tendenze a ingigantire, amplificare e dilatare la negatività di ciò che ci succede nella vita fanno sì che la nostra vita appaia ancora più difficile di quanto normalmente lo sia già.
E di come la sofferenza che proviamo sia maggiore di quella che potremmo realmente provare.
È possibile imparare a riconoscere i pensieri automatici (cioè, molto veloci ma non inconsci) che sono emersi col sorgere dell’esperienza.
Cosa ho pensato? Cosa mi è passato per la testa?
Poi, possiamo avviare una critica attiva su questi pensieri, adottando, dopo aver preso la giusta "distanza" dal vissuto emotivo, una prospettiva più ragionevole.
Più diventiamo bravi a mantenere la calma e a non lasciarci catturare dalla corrente dei pensieri negativi quando ci capita qualcosa di “piccolo”, più sarà facile affrontare anche le situazioni più “grandi”.
Il messaggio di fondo, comunque, è una grande verità che purtroppo non è così facile comprendere ed accettare:
“Il dolore è inevitabile, la sofferenza no”.