I torti subiti:
il tradimento del coniuge, il voltafaccia di un amico, il dispetto di un collega, la persecuzione del burocrate, il ritardo della giustizia.
O, forse il caso più difficile da superare, il nostro errore del passato con la colpa che prende e dimora dentro di noi, senza mai darci tregua.
Perdonare, allora. Ma cosa vuol dire perdonare?
Perdonare è un atto di coraggio altissimo che ci rende più forti di chi ci ha colpiti.
Perdoniamo per essere liberi, per diventare migliori, sbarazzandoci di quei sentimenti di rancore e rabbia che rischiano di condizionare il nostro equilibrio, la nostra vita futura.
Insomm, le nostre colpe e quelle altrui sono ostacoli che vanno rimossi, nella convinzione che il perdono non è una debolezza o un cedimento, ma la grazia di vedere l’umanità negli altri, di guardare oltre la superficie delle loro azioni e di comprendere il dolore che ne è causa, vincendo lo stereotipo secondo cui chi rinuncia alla vendetta è un debole.
Perdonare non è però semplice. Non è immediato. Ma impone un tempo, una riflessione fatta non soltanto di testa, ma di cuore e di nervi. Un percorso dentro se stessi.
- Il perdono non è obbligatorio, ma volontario. Nessuno cioè può costringerci a perdonare, solo noi possiamo decidere. Il perdono è una nostra scelta, il gesto più generoso che possiamo compiere, non soltanto verso chi ci fa torto, ma anche verso noi stessi.
- Il perdono è uno stato d’animo. Perdonare è dimenticare. E quando perdoniamo alleggeriamo i nostri ricordi dal peso della ferita. Così il dolore si riduce.
- Il perdono non è la giustificazione di chi ha commesso un torto. Non siamo tenuti cioè a fingere che il torto non sia avvenuto. Il perdono è la scelta di estinguere il debito del torto subito.
- Il perdono è riflessivo. Quando perdoniamo qualcuno che ci ha fatto un torto, o perdoniamo il torto stesso, beneficiamo anche del sollievo di non dovercene più occupare. Tutti abbiamo conosciuto chi si ostina a non dimenticare la fine di una relazione o il divorzio dei genitori. E continua a prendere decisioni che risentono di quelle cicatrici emotive. Bene, forse è più saggio liberarsi di quel fardello perdonando il torto.
- Il perdono è liberatorio. Quando si giunge alla decisione di perdonare, si prova una sensazione di leggerezza bellissima. Quasi euforica.
- Il perdono non equivale ad amare i nemici. Nessuno è tenuto ad amare un nemico. L’odio però costa energia. E quando ci si nutre di odio, si consumano sia tempo che forze.
- Il perdono non giustifica chi ci ha trattato in modo ignobile, non ci dice di accettare passivamente le ingiustizie, né nega il diritto alla rabbia, al desiderio di giustizia e di castigo. Non nega neppure il diritto di non scusare chi ci ha fatto un torto.
- Il perdono non è facile, ma i risultati sono gratificanti. Visto che perdonare è soprattutto una questione mentale, richiede un percorso di comprensione. L’elaborazione non avviene sforzandosi di credere che il debito di un torto non sia dovuto, ma prendendo consapevolezza che il tentativo di recuperare quel debito ci sosterebbe più del semplice condonarlo.
- Il perdono è auto-guarigione. Quando decidiamo di perdonare, persino l’imperdonabile, medichiamo la ferita originaria e la lasciamo guarire alla luce del sole.
- Il perdono è rafforzamento di sé. Il perdono non è un atto di debolezza, ma un atto di forza.
Su queste basi il processo del perdono può cominciare in modo sano partendo dal racconto, dalla propria storia. Perché svelando la propria storia, ripercorrendola nel profondo, condividendo il proprio dolore si può scendere in quelle profondità dell’animo umano dove riposano le energie che ci permettono di perdonare. E in definitiva di amare.